La strage di Erba (parte 4) – La terza prova
Analisi della terza prova a sostegno dell’accusa con le aporie relative alla dinamica sull’uccisione di Valeria Cherubini
Dopo aver analizzato nel dettaglio i dubbi relativi ai primi due pilastri dell’accusa, continuiamo ora con l’analisi della terza prova a sostegno dell’accusa e con le aporie relative alla dinamica sull’uccisione di Valeria Cherubini.
Indice degli argomenti
Prova 3 – la testimonianza di Mario Frigerio
Nell’interrogatorio del 20 dicembre, Frigerio farà per la prima volta il nome di Olindo Romano, additandolo come proprio carnefice. Lo stesso figlio Andrea in aula durante il processo in primo grado, dirà che il papà, al nome di Olindo, «aveva l’impressione come se dicesse: ci siete arrivati».
Fu il colloquio decretato come decisivo sia dal figlio che dagli stessi giudici, trasmesso moltissime volte in TV ed entrato indissolubilmente nell’immaginario collettivo. A partire dal 20 dicembre infatti, dopo che Gallorini gli farà per nove volte il nome del Romano, Frigerio dirà per sempre che l’aggressore fosse Olindo.
Ma dall’ascolto delle intercettazioni mai trascritte, v’è ne sono due particolarmente interessanti. Il 22 dicembre 2006, due giorni dopo l’incontro decisivo tra Frigerio e Gallorini, nella stanza intercettata del superstite, giunse il suo avvocato di fiducia Manuel Gabrielli: in venti minuti di conversazione tra l’avvocato e il suo assistito, non solo non venne mai fatto il nome di Olindo, ma sembrava addirittura che nessuno sapesse dove sbattere la testa per capire cosa fosse successo la sera del massacro, tanto che il legale chiederà all’uomo di rivivere quella giornata con assoluta calma, sforzandosi di ricordare anche le cose più normali.
Frigerio non ricorderà nulla né in quell’occasione, né il 24 dicembre quando, avvertito dai figli dell’imminente arrivo in ospedale dei PM, dichiarerà di non aver niente da riferire ai magistrati.
Esattamente 24 ore dopo la conversazione con Gallorini, lo stesso Andrea, dopo essersi recato all’ufficio di Polizia di Stato dell’ospedale Sant’Anna per rilasciare sommarie informazioni, non farà alcun accenno né ai dubbi del padre, né al nome di Olindo, raccontando invece, per contro, che suo papà non modificò mai il suo racconto iniziale dove descriveva un uomo di carnagione olivastra che non era del posto.
Resta un altro dubbio: che probabilità c’è che il ricordo del “supertestimone” sia in realtà un falso ricordo? Che influenza può aver avuto il fatto che Gallorini, nell’interrogatorio del 20 dicembre, pochi giorni dopo che il Frigerio si riprese dal coma, gli replicò per nove volte il nome di Olindo?
Per la difesa, la consulenza venne fatta da uno dei più illustri esperti in materia, il professor Piergiorgio Strata, neurofisiologo, professore di Neuroscienze presso l’Università di Torino e presidente dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze (INN), il quale definì il falso ricordo del Frigerio “un caso da manuale”.
C’è inoltre chi, come la Corte di Como, sostiene che il nome di Olindo venne fatto dal teste già il 15 dicembre, ovvero addirittura cinque giorni prima del famoso interrogatorio con Gallorini. Si trattò di una fase talmente controversa nel procedimento giudiziario che sia durante il dibattimento preliminare, che nel primo grado, ci fu una guerra tra le perizie delle parti, tanto che in aula la Corte smentì anche il perito della difesa, uno dei massimi esperti italiani sull’analisi sonora, l’ingegner Raffaele Pisani, che per l’ascolto dell’audio di Frigerio si avvalse di strumenti sofisticatissimi. Alla sua analisi si preferì infatti quella di un programma amatoriale, il Cool Edit 2000, e di un giudice a latere: Maria Luisa Lo Gatto, la quale analizzò l’audio del 15 dicembre, sostenendo che quel giorno l’uomo fece il nome di Olindo. Quel passaggio verrà non solo fatto ascoltare ripetutamente in aula con delle cuffie ai giudici popolari e al Presidente, ma distribuito alla stampa, che confezionò articoli e trasmissioni, tanto che gli stessi legali della difesa appresero dell’utilizzo del Cool Edit solo dalla lettura dei quotidiani. Ma le cose in realtà sono ben diverse, poiché come esaurientemente spiegato nella sentenza d’appello di Milano, si trattò in realtà di un “file” digitalizzato e amplificato dalla Corte con il programma Cool Edit 2000 al fine di renderne il contenuto più intelligibile, apportando al “file originare una modificazione senza nessuna intenzione di falsificare scientemente il risultato uditivo».
Il processo di primo grado si chiuse dunque con un audio modificato che aveva cambiato la frase “stavano uscendo” in “è stato Olindo”.
La morte di Valeria Cherubini
Ma se i tre pilastri dell’accusa osservati in dettaglio mostrano più di una crepa, c’è un elemento che secondo la difesa di Olindo e Rosa, ed alcuni giornalisti investigativi, proverebbe perfino la certezza che i due coniugi non possono essere gli assassini.
Dove viene uccisa Valeria Cherubini?
Una domanda cruciale con la cui risposta si cerca di risolvere un’importante controversia: da dove sarebbero fuggiti i killer?
La dinamica della morte della Cherubini è uno snodo fondamentale nella vicenda, perché il modo con cui venne aggredita e poi colpita a morte, potrebbe svelare come gli assassini si siano mossi nella palazzina di via Diaz, ovvero se abbiano abbandonato il luogo della strage percorrendo le scale che portavano fino all’uscita, così come stabiliscono i processi, o attraverso una via di fuga alternativa come spiegano invece i legali della difesa.
Vittima casuale, Valeria fu l’imprevisto, e la sua morte assume una valenza particolare poiché ancora oggi le versioni date dalle tesi accusatoria e difensiva si discostano completamente le une dalle altre.
La Cherubini verrà trovata morta vicino il balcone del suo appartamento in ginocchio, racchiusa su sé stessa, con le mani a protezione del capo, come se qualcuno la stesse colpendo, e le sue grida di aiuto saranno udite sia dai primi soccorritori, precipitatisi intanto nella palazzina poiché attirati dal fumo, sia dallo stesso Frigerio, rivenuto in fin di vita sul pianerottolo di casa Castagna.
Il quesito fondamentale è capire se al momento delle grida, Valeria si trovi da sola, già ferita a morte, o se gli assassini siano ancora lì, pronti a darle il colpo di grazia. Nel caso fosse accertata quest’ultima ipotesi, Rosa e Olindo sarebbero scagionati dal fatto che, la presenza dei soccorritori al piano inferiore, avrebbe impedito ai due di percorrere le scale principali e recarsi all’uscita per dirigersi verso il proprio appartamento all’interno della corte.
La ricostruzione più probabile della dinamica, secondo le sentenze dei giudici, e raccontate da stampa e TV, è invece un’altra, ovvero che Valeria Cherubini, attinta da 43, con il cranio sfondato, la gola squarciata e la lingua tagliata, come accertato dalla perizia del dottor Scola, salga su per le scale, perdendo soltanto 13 minuscole gocce di sangue (quelle rinvenute dai RIS), senza deglutirlo o respirarlo, come accertato dalla perizia in sede autoptica, e che solo dopo esser giunta vicino al balcone della propria abitazione in quelle condizioni, gridi la parola “aiuto”, perdendo tutto il sangue.
Per poter stabilire esattamente dove fu colpita l’ultima volta la donna, e dunque quale sia stata la via di fuga dei suoi assalitori, sarebbe stato molto importante esaminare le tracce ematiche rinvenute sulla tenda vicino la quale la Cherubini si accasciò, al fine di stabilirne la natura, ovvero se si trattasse di tracce da imbrattamento o da proiezione. Questione destinata a restare per sempre come un altro interrogativo, perché sia la tenda che tutti i reperti della strage, sono stati distrutti proprio nel giorno in cui la Cassazione decise di concederne alla difesa l’analisi.
Fine?
Nel lungo e tortuoso “viaggio” iniziato la notte dell’11 dicembre 2006, tante sono state le cose trascritte e molte altre sarebbero da aggiungervi.
Al di là di ciò, vi sono i dati scientifici, di tempistica, delle questioni di logica che porterebbero a credere quanto più di diverso possibile rispetto alle sentenze sancite in tutti questi anni, e seppur non si possa stabilire se i veri colpevoli di quella sera siano oggi all’ergastolo, una domanda rimane: e se tutto fosse stato solo un grande abbaglio?
Olindo Romano e Rosa Bazzi stanno scontando l’ergastolo perché ritenuti definitivamente responsabili dell’orrendo massacro di tre donne e di un bambino.
Si sentirà dire che ventisei giudici hanno già espresso un giudizio definitivo, ma seppur sia vero, questo è un argomento che da solo non basta. Perché secondo l’annuario della giustizia penale, pubblicato dalla Corte di Cassazione, le condanne definitive che hanno ottenuto la revisione negli ultimi tre anni sono state 77, addirittura ben 19 sono condanne annullate senza che fosse ordinato di celebrare un nuovo processo.