Violenza e burn out: il caso dell’asilo di Gavirate
Possiamo limitarci a individuare nello stress e nella sindrome da burnout gli unici fattori causale dei maltrattamenti dell’asilo di Gavirate?
Sono 46 gli episodi registrati dalle videocamere di sorveglianza, acquisiti dall’Arma dei Carabinieri di Besozzo lo scorso anno, che immortalano, destando un certo shock, i violenti fatti avvenuti in 15 giorni di quotidianità all’interno dell’asilo “imparare è un gioco” di Gavirate (VA), immagini che vedono come protagonisti 14 dei 20 bambini iscritti, di età tra i sei mesi e i tre anni, e la maestra titolare della struttura.
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I maltrattamenti dell’asilo di Gavirate
Lo shock più intenso è sicuramente quello dei genitori dei bimbi, dalle parole di un papà:
Mi è sembrato di vedere Dottor Jekyll e Mister Hyde, lì sotto i miei occhi, con noi presenti era sempre gentilissima. Disponibile, vezzeggiava i bambini, una donna all’apparenza dolcissima.
Immagini che mostrano qualcosa di incredibile, certo, perché le videoregistrazioni non lasciano dubbi: bambini presi a ciabattate, strattonati, fatti cadere dalla sedie quando non riescono a stare seduti composti, presi al collo, lasciati a piangere da soli in una stanza buia per punizione, costretti a mangiare con apertura forzata della bocca se si rifiutano di ingerire del cibo.
Eppure, qualcuno aveva notato lo stato d’animo angosciato di alcuni bambini più grandi al momento dell’ingresso al nido al mattino; sappiamo però bene quanto sia difficile interpretare tali segnali e ricondurli a cause specifiche, specie se la maestra è considerata quasi un’amica di famiglia, una persona di fiducia a cui affidare i bambini anche nei giorni festivi.
Qualche genitore, comunque, ha riportato i propri sospetti ai Carabinieri che hanno deciso di installare delle videocamere nascoste all’interno dell’asilo e sono così riusciti ad incastrare la donna, 32 anni, educatrice abilitata, che è stata posta agli arresti domiciliari; la collaboratrice, una cuoca, è stata invece denunciata.
L’attività dell’asilo nido è stata sospesa e sono state comminate sanzioni intorno ai trentacinquemila euro. Intanto si aspetta che la giustizia faccia il suo corso: la donna è indagata per l’ipotesi di reato contemplata dall’articolo 572 del Codice Penale che sanziona chi “maltratta” una persona “sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte”.
L’avvocato della maestra descrive la donna «stressata, sofferente di sindrome da burnout», riferendo inoltre che, messa di fronte alle stesse videoregistrazioni, non riesce nemmeno a riconoscere se stessa.
Ma possiamo limitarci a individuare nello stress l’unico fattore causale dei maltrattamenti?
Stress e Burnout
Prima di inquadrare con precisione i fenomeni dello stress e del burnout, che vorremmo qui ritenere cause concomitanti dei gravi agiti violenti della maestra e dell’indifferenza passiva della cuoca dell’asilo, è giusto ricordare che le cosiddette professioni d’aiuto (helping professions) sono le categorie professionali più esposte allo sviluppo di problemi stress-correlati. Tra questi professionisti rientrano medici, infermieri, psicologi, terapisti della riabilitazione, assistenti sociali, insegnanti, ossia le cosiddette figure definite high touch: tutte persone che nell’ambiente lavorativo si trovano ad avere a che fare con la dimensione della “cura” e quindi ad alto contatto con l’utenza anche in condizioni di grave sofferenza. Ci troviamo quindi in contesti caratterizzati da uno stretto contatto operatore-utente e dalla costante presenza dell’operatore che partecipa emotivamente del disagio dell’assistito (Baiocco et al., 2004).
Ecco perché sono richieste all’operatore, oltre alle competenze tecniche e professionali assimilate durante il corso di studi, determinate capacità trasversali e una certa padronanza della propria dimensione emotiva. Quando la relazione tra operatore e utente si configura emotivamente intensa, il professionista deve essere in grado di gestirla modulando le proprie emozioni, identificando i propri vissuti emotivi e contestualizzandoli, individuandogli un senso nella relazione e all’interno del contesto lavorativo. Quando ciò fallisce, specie nel caso in cui tali competenze non siano interiorizzate, possono insorgere insicurezze rispetto al proprio ruolo individuale e professionale e il disagio può presentarsi con una sintomatologia psicologica, somatica e/o fisiologica con chiare conseguenze a livello personale che possono sfociare, a livello relazionale, in problemi di gestione sia dell’utenza sia dei colleghi (Barbini et al., 2006).
“Stress” è un termine il cui utilizzo è stato sicuramente abusato negli ultimi anni, qui vorremo invece che fosse inteso come uno stato fisiologico normale, una risposta generale e aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall’ambiente. Esso può innescarsi a seguito di richieste sia straordinarie sia quotidiane percepite come intense, oppure da forti emozioni, anche positive. Lo stress ha certamente una funzione: se utilizzato efficacemente può essere di vantaggio per il soggetto, consentendogli un’incrementata funzionalità d’azione (Selye, 1974). La dimensione dello stress nel contesto lavorativo è inoltre legata a fattori di tipo oggettivo (struttura organizzativa, clima dell’ambiente lavorativo, ruolo svolto…) e a caratteristiche intrinseche al soggetto che ne fa esperienza, che fanno capo alle personali peculiarità comportamentali e di personalità che incidono sulle modalità di reazione dello stesso alle situazioni stressanti (Modello di Cooper e Marshall, 1976).
L’accezione negativa attribuita allo stress è più da ricondurre a un “distress” (da dys, cattivo), ossia a un fallimento nell’adattamento alla risposta psicofisiologica di stress, che può condurre il soggetto a reagire anche in modo sproporzionato a stimoli di lieve entità: ecco quale potrebbe essere una delle chiavi di lettura dei numerosi casi di maltrattamenti agiti su bambini, anziani o persone fragili. Quando il carico di lavoro diventa insostenibile e si protrae per un lungo periodo temporale, quando non si riesce a gestire la sofferenza in modo adeguato, quando diversi eventi stressanti si sovrappongono, quando la responsabilità dell’accudimento e del benessere dell’assistito viene percepita esageratamente incentrata sull’operatore, quando si percepisce uno scarso controllo su ciò che accade, si genera una risposta di stress che porta a reazioni decisamente non calibrate. Una frase detta da un alunno o un suo gesto possono scatenare una reazione violenta da parte dell’insegnante, come documentato dai video utilizzati come prova dei maltrattamenti accaduti nell’asilo di Gavirate.
Ciò che si configura come disagio lavorativo non è quindi sovrapponibile alla semplice, fisiologica risposta di stress dell’organismo all’ambiente lavorativo, quanto all’incapacità dell’individuo di adattarsi alla situazione o all’insieme di eventi che hanno generato tale reazione, mancando in lui una modalità efficace di gestione delle situazioni psicologicamente intense, e magari all’utilizzo di strategie di coping non sempre adeguate.
Il termine burn out identifica precisamente la condizione di lento logorio dello stato psicofisico dell’operatore causato dalle difficoltà nel far fronte alle problematiche poste dalla propria quotidiana attività professionale. Tale condizione clinica si riversa inevitabilmente sia sull’efficacia lavorativa sia sulla sfera privata della persona e i sintomi più caratteristici sono: affaticamento, esaurimento, senso di fallimento, malessere globale e, come già detto, logoramento psicofisico. Se inizialmente le problematiche degli utenti sono prese sinceramente in considerazione, il lento scivolare nel burn out porta con sé nervosismo, irrequietezza, indifferenza e addirittura cinismo nei confronti delle persone cui presta assistenza
Se, quindi, lo stress è lo squilibrio tra le risorse disponibili e le richieste interne e esterne, il burn out si identifica con il fallimento del processo di adattamento all’ambiente, una risposta adattiva inefficace allo stress lavorativo (può infatti esistere stress senza burn out). La persona sviluppa quindi un meccanismo di difesa che porta con sé tutta una serie di comportamenti e atteggiamenti negativi o di indifferenza verso i colleghi e nei confronti dell’utenza (Pellegrino, 2009; Gabassi, 2008; Santinello & Negrisolo, 2009, Baiocco 2004).
Non solo stress, non solo burnout
Ma, nel caso riportato, l’avvocato difensore, focalizzando l’attenzione sul fenomeno del burnout, trascura tutto ciò che riguarda la personalità preesistente che ha consentito il realizzarsi di tali condotte violente. Possiamo ipotizzare che una situazione di stress lavorativo mal gestito abbia condotto ad una condizione di disadattamento emotivo che, innestato su una struttura di personalità connotata da scarsa empatia, da discontrollo degli impulsi o, in genere, da tutte quelle caratteristiche di personalità che rendono un individuo incline a agiti violenti e/o sadici, abbia determinato le condotte aggressive messe in atto dalla maestra. Questo perché non necessariamente una persona che soffre di burnout metterà in atto agiti aggressivi, e ciò dipende chiaramente dalla modalità personalissima di reazione agli stimoli propria di ciascun individuo. In questo caso potremmo considerare il burnout una concausa degli eventi criminosi, che si spera verrà considerata esclusivamente per attribuire eventuali attenuanti alla pena, essendo chiaro – ma, comunque, in attesa di perizia – che la donna possieda piene capacità di intendere e di volere. Rimangono quindi da indagare tutti quegli aspetti personologici che hanno determinato nella donna tali modalità reattive.
Concludendo, si ritengono in ogni caso indispensabili, a supporto dell’attività professionale delle professioni a rischio burnout, un’adeguata formazione, un supporto psicologico e una costante supervisione sia individuale sia di gruppo per individuare eventuali focolai stressogeni e intervenire prontamente per la tutela e il benessere del lavoratore e dell’utenza.
Fonti
- Campus M.E., Forresu C., Tronci L. “Stress e burnout nelle professioni sanitarie, un’introduzione”
- www.ilgiorno.it
- www.varesenews.it