CronacaPsicologia

Tutti vedono ma nessuno chiama aiuto. L’effetto spettatore nel caso “Kitty Genovese”

Quando si racconta la storia di un omicidio i personaggi coinvolti sono principalmente due: assassino e vittima. Nel corso degli anni, però, nell’ambito della psicologia sociale sono state svolte numerose ricerche volte ad indagare fenomeni sociali spesso correlati agli omicidi. Negli anni Sessanta in America un efferato omicidio diede vita a una serie di studi psico-sociali aventi come protagonisti i comportamenti e la psiche non dell’assassino o della vittima, bensì degli spettatori. Da qui derivò l’individuazione di due fenomeni psicologici di grande attualità: effetto spettatore e diffusione di responsabilità.

Il caso “Kitty Genovese”

Facciamo un passo indietro. Siamo a New York, nel 1964. Kitty Genovese, diminutivo di Catherine Susan Genovese, è una giovane ventinovenne residente nel Queens, un celebre quartiere della Grande Mela. È il 13 marzo e Kitty sta rientrando a casa a notte fonda. Nel parcheggio vicino all’edificio in cui è residente, Kitty si scontra con il suo aggressoreWinston Moseley, un operatore di macchine da stampa che non conosceva in alcun modo la sua vittima. L’uomo, rivelatosi poi un killer seriale nonché necrofilo, aggredisce la ragazza con due coltellate alla schiena per poi allontanarsi. Le grida vengono sentite da diversi testimoni residenti nei palazzi adiacenti al parcheggio. Nessuno allerta i soccorsi. Kitty, gravemente ferita ma ancora in vita, cerca di nascondersi nel primo androne che trova. Passano dieci minuti, dieci minuti di agonia, prima che Moseley torni nel luogo dell’aggressione in cerca della sua vittima. Una volta trovata aggredisce nuovamente la ragazza con numerose pugnalate, la violenta in fin di vita e le ruba i pochi soldi che aveva. In quel momento qualcuno tra i testimoni, sentendo nuovamente le urla, si attiva e chiama i soccorsi. La giovane donna morirà nel trasporto di ospedale.

L’aggressione durò in totale mezz’ora. In quella mezz’ora, se non alla fine, nessuno chiamò i soccorsi. Perché?

L’effetto spettatore e la diffusione di responsabilità

È qui che entrano in gioco i due fenomeni psicologici precedentemente citati: l’effetto spettatore e la diffusione di responsabilità.

Effetto spettatore

Per effetto spettatore ci si riferisce a quegli individui che non offrono alcun aiuto ad una persona in difficoltà quando sono presenti anche altre persone. In questa situazione il pensiero ricorrente diventa: “Qualcun altro intorno a me ha visto o sentito, quel qualcuno avrà già chiamato i soccorsi”. È di facile intuizione pensare che se questo è ciò che tutti gli osservatori pensano, nessuno reagirà o si attiverà per aiutare la vittima. Paradossalmente è come se il numero di testimoni presenti fosse inversamente proporzionale all’attivazione del soccorso. Due psicologi statunitensi, John Darley e Bibb Latané, approfondirono il fenomeno attraverso numerose ricerche eseguite poco tempo dopo l’omicidio (1968). I due psicologi evidenziarono anche il principio di influenza sociale, una strategia cognitiva secondo la quale uno spettatore osserva le reazione degli altri spettatori per decidere se intervenire o no in caso di emergenza.

Diffusione di responsabilità

Correlato all’effetto spettatore, chiamato in talune situazioni anche “sindrome Genovese”, troviamo un altro fenomeno psicologico, la diffusione di responsabilità. Questo effetto subentra nelle dinamiche di gruppo quando un’azione, o l’assenza di essa, compiuta insieme ad altre persone, diminuisce notevolmente il senso di responsabilità del singolo. Questa dinamica è tipica in situazioni di bullismo. Anche in questo caso non si può parlare solo della vittima o del bullo, ma anche degli osservatori che decidono in gruppo se partecipare all’aggressione oppure no. Lo stesso principio vale per atti delinquenziali compiuti in “bande”: l’assunzione di responsabilità è inversamente proporzionale al numero di persone facenti parte del gruppo.

Prevenzione degli atti criminosi

Lo studio di questi fenomeni in ambito di psicologia sociale ha permesso di indagare a fondo strategie cognitive che fanno parte del modo di pensare comune. Attraverso queste teorie è stato possibile analizzare diversi atti criminosi allargando anche le personalità coinvolte, fornire strategie utili di intervento (come il 911 negli Stati Uniti) in situazioni di pericolo, studiare e lavorare sulla prevenzione del bullismo e dei crimini compiuti in branco.


In cover una foto di Kitty Genovese, via washingtonpost.com
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Alessia Corticelli

Ssicologa dello sviluppo, lavora da anni nel mondo delle scuole e con le famiglie. Ha approfondito la sua preparazione professionale frequentando diversi corsi di formazione che le hanno permesso di ampliare le sue competenze nell’ambito della disabilità, della psicologia clinica e scolastica. Amante dell’arte moderna, dei libri e della musica rock.

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