Uso e abuso del termine ‘raptus’
In tv, nei social network e sui giornali si parla, troppo spesso senza competenze, di raptus come una totale o temporanea incapacità di intendere e volere sancita da perizie. I mass media, soprattutto nei clamorosi casi di cronaca nera, abusano del termine raptus, che non viene inteso come reazione psicogena compulsiva acuta, ma sembra essere diventata la parolina magica che in certe situazioni dice tutto e niente e che tolga dalla fatica di dover riflettere o comprendere le motivazioni. Nonostante i continui richiami degli esperti che si occupano di monitorare e studiare il fenomeno, esiste ancora una folta schiera di giornalisti che utilizza il termine raptus per indicare il comportamento violento. Questa parola, di poche lettere, se usata in maniera impropria finisce con lo stravolgere completamente il significato di quanto avvenuto.
Quando, come e perché?
In preda ad un raptus, la persona non è consapevole di quello che fa.
Nell’ambito del diritto penale, della criminologia e della psichiatria forense la carenza di controllo degli impulsi può essere considerata condizione di momentanea incapacità di intendere e di volere e quindi attenuante per la commissione di reati.
Il raptus può essere indotto dall’assunzione di sostanze psico-attivanti (come anfetamine e cocaina) oppure può rappresentare un tratto stabile della personalità, ma in questo caso si parla di disturbi della personalità di tipo psicopatico o antisociale.
Si sente spesso il termine ‘stato confusionale’, che esprime l’idea di una perdita di controllo totale e improvvisa, come se il cervello fosse posseduto da una forza che lo agita a caso e lo spinge in direzioni insensate o eccessive. Ma il raptus non spiega quasi mai niente, c’è un termine medico che si avvicina a questo ed è psicosi.
Psicosi significa semplicemente una complessiva alterazione del modo in cui la persona percepisce l’ambiente, e di come lo elabora. Il sintomo cardine della psicosi è il delirio. Delirare è uscir fuori da un pensiero costruito in maniera comprensibile, senza un filtro che distingue il vero dall’immaginario Dietro molti apparenti raptus vi sono storie anche lunghe di deliri.
Raptus e femminicidio guai a giustificarlo
Dai nostri studi abbiamo notato come negli ultimi anni il termine raptus appaia sempre più spesso nei fatti di cronaca riguardanti il femminicidio. Si sostiene, in maniera del tutto scellerata, che un uomo geloso uccida la propria compagna perché in preda ad un raptus. Questo malsano atteggiamento, genera concetti ancora più inquietanti. Il primo in assoluto è la giustificazione che si dà ad un omicida: si rischia di attenuare la responsabilità demandandola all’estrema gelosia che, in un momento di apice , si è trasformata in un gesto efferato. In moltissimi casi, abbiamo notato che il contesto in cui avviene il delitto ha già una storia carica di violenza e spesso, questa, viene sottovalutata sia dalle famiglie che purtroppo anche dagli inquirenti. Un’altra idea che passa in modo tanto velato quanto pericoloso, è quella che vedrebbe la vittima in qualche modo responsabile del raptus. Ecco questo è per noi riprovevole e del tutto sbagliato, soprattutto quando l’opinione pubblica influenza le fasi delicate sia dell’indagine prima che quelle processuali poi.
In definitiva possiamo affermare che è necessario documentarsi in maniera approfondita prima di dichiarare un omicida incapace di intendere e di volere e vi invitiamo a dare credibilità agli esperti preposti, piuttosto che ai più famosi talk-show.
Per gli appassionati di profiling questo sito è fantastici, articoli brevi e semplici da leggere. Non vedo l’ora che ne esca uno nuovo!